Come avrete capito, nella vita faccio il designer, per la precisione sono uno UX Designer e per molto tempo ho sempre pensato che il miglior prodotto sia quello che non interferisce o rallenti l’esperienza per l’utente (non amo la parola utente non mi è mai piaciuta, troppo distaccata), ma forse gli attriti possono farci bene.
Spesso parliamo del tempo che va troppo veloce delle nostre vite affollate e senza respiro, e se i prodotti che utilizziamo ogni giorno devono migliorare il nostro rapporto col ambiente in cui viviamo, forse dovrebbero prendere spunto da queste aspettative di vita che ci prefissiamo.
Forse rallentare, mettere dei freni al design è una cosa che alcune volte può essere un bene per garantire l’accuratezza di un determinato compito. Compiere un’attività con attenzione a discapito del tempo impiegato può portare a risultati sorprendenti.
Applicare degli attriti durante la progettazione di un’esperienza porta un miglioramento dell’attività in modo considerevole e per farlo non serve chissà cosa, basta solo richiamare l’attenzione dell’utente con i giusti intervalli di tempo, in modo discreto e mirato. Questo metodo può stimolare le persone a concentrarsi molto di più su attività complesse e precise diminuendo nettamente le probabilità di errori.
Diversi studi tra cui quello di S. Egelman dell’università di Carneige “You’ve been warned: an empirical study of the effectiveness of web browser phishing warnings” e di T. Aven “How the integration of System 1-System 2 thinking and recent risk perspectives can improve risk assessment and management”, dimostrano come il grado di attenzione durante l’esperienze digitali possa essere stimolato per migliorare l’esecuzioni dei compiti in completa sicurezza.
Questi notevoli studi sono stati dimostrati da un gruppo di ragazzi dell’Università dell’Iowa ponendo due gruppi di persone, il gruppo A e quello B, compresi tra i 20 e i 30 anni, nello stesse condizioni di tempo e orario facendogli compilare un test di riflessione cognitiva basato su semplici calcoli.
L’attrito è stato posto ai candidati solo dopo aver selezionato il risultato, in due modi. Entrambi gli avvisi invitavano il candidato a porre attenzione alla risposta appena segnata ma l’attrito A (somministrato al gruppo A) appariva come un pop-up che ricopriva tutto lo schermo, mentre l’attrito B (somministrato al gruppo B) si limitava a essere un piccolo pop-up nell’angolo in alto a destra dello schermo. Entrambi i gruppi avevano la possibilità di scegliere se controllare le proprie risposte oppure andare avanti col test.
I risultati del test hanno effettivamente dimostrato che, non solo gli avvisi hanno migliorato l’accuratezza delle risposte, ma che l’avviso A (quello che ricopriva tutto lo schermo) ha dato risultati migliori.
Questo test dimostra che gli attriti se progettati consciamente possono permettere all’utente di fare la scelta sbagliata e aiutato l’utente a crescere.
Parlando appunto di crescita, pensate a Ikea, o meglio, all’effetto Ikea.
Un famoso studio di Harvard analizza il fenomeno che avviene quando creiamo qualcosa di nostro, o se lo facciamo anche in parte. Ricorda la sensazione che hai avuto quando hai montato la tua scrivania Anfallare oppure la tua Billy.
Potresti semplicemente comprare un mobile, già pronto, ma invece la sensazione che provi dopo aver superato l’attrito di doverti montare tutto da solo, è impagabile.
Dopo tutto siamo stati abituati a questo concetto fin da piccoli, da quando c’è stato messo nelle mani il primo mattoncino Lego.
Allora perchè tutte le esperienze non sono così?
I fattori sono tanti e molto vari, tra le tante motivazioni c’è il mercato. Un e-commerce molto probabilmente punterà su un acquisto compulsivo, soprattutto quando gli attori in gioco sono molto grossi, oppure c’è dietro una progettazione poco empatica.
Un altro aspetto fondamentale del design dell’attrito è che dà fastidio, nel senso che molto probabilmente se superi un determinato attrito, sei davvero interessato a quel risultato.
Immaginate l’autenticazione di Google tramite il dispositivo, non solo ti viene chiesta la password ma devi anche usare il tuo smartphone per validare l’accesso, solo in questo modo Google ha la conferma che chi sta accedendo sia il vero proprietario dell’account.
Tra le tante opportunità l’attrito educa l’utente, lo rende più consapevole e in qualche modo porta ad un determinato servizio solo gli utenti “giusti”.
In conclusione, in un sistema veloce, dove i principi dell’esperienza utente ti spingono a creare un’esperienza totalmente liscia e priva di ogni rallentamento, pensa a tutte quelle che avresti voluto che qualcuno ti dicesse “è il prodotto giusto?” oppure “hai selezionato l’hard disk corretto?” o lo storico “hai salvato?” che orami è quasi fuori moda.
Sono assolutamente a favore dell’innovazione, ma una pausa, ogni tanto, non fa mai troppo male.
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